Normativa CFC e Convenzione contro le Doppie imposizioni

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Normativa CFC e Convenzione contro le Doppie imposizioni

Con la recente sentenza n. 25281 del 16 dicembre 2015, la Corte di Cassazione italiana ha affrontato  la dibattuta questione della compatibilità della normativa dettata dall’art. 167 del TUIR  in materia di CFC con le previsioni convenzionali relative al reddito di impresa.

Il rapporto tra norme convenzionali e norme interne antielusione offre spunto per numerose e interessanti osservazioni anche alla luce della mancanza nella normativa romena di disposizioni CFC e alla potenziale applicazione della normativa anche a paesi dell’Unione Europea quali la Romania.

Come ben è noto le norme CFC prevedono che qualora la controllata non soddisfi determinate condizioni (esimenti) i redditi della stessa, rideterminati con l’applicazione della normativa domestica italiana, siano attribuiti per “trasparenza” alla controllante italiana.

D’altro canto le norme convenzionali su modello OCSE all’articolo 7 attribuiscono, con l’eccezione della presenza di un S.O., l’esclusività della imposizione fiscale allo Stato di residenza dell’impresa (non contemplando alcuna deroga per il caso di imprese controllate).

Le posizioni:

Alcuni autori ritengono che la tassazione per trasparenza dell’art. 167 del TUIR costituendo una disposizione derogatoria alla più favorevole previsione pattizia non dovrebbe trovare applicazione. Tale parere è confortato dalla sentenza resa dalla Commissione Tributaria di Bergamo del 12 novembre 2009, n. 170.

Avverso tale tesi, vi è l’orientamento di altri autori, secondo i quali la disciplina CFC non sarebbe in contrasto con le previsioni convenzionali in quanto queste ultime non hanno solo lo scopo di regolare la doppia imposizione ma anche di prevenire l’elusione internazionale. Conseguentemente non si possono attraverso l’interpretazione delle norme pattizie comprimere l’azione impositiva dello Stato.

Altri autori ritengono infine che norme CFC e pattizie attengo a fattispecie diverse: le prime assoggettano a imposizione  i soggetti residenti per il reddito estero della controllata le seconde regolano il riparto della potestà impositiva per redditi di impresa.

La sentenza in oggetto, sposando l’ultimo filone di pensiero, ha formulato alcune conclusioni particolarmente significative e non condivisibili appieno. In particolare secondo la Corte “il self restaint cui lo Stato nazionale acconsente, sottoscrivendo la convenzione, non può evidentemente spingersi fino al punto di consentire un abuso della stessa convenzione che realizzerebbe, quindi, un fenomeno di doppia non imposizione altrettanto deprecabile quanto quello della doppia imposizione”.

Vi è da rilevare, in ultima analisi, che la sentenza pecca nel non considerare che la doppia non imposizione non si sarebbe ugualmente verificata in quanto il meccanismo attuato dalla normativa CFC è volto a tutelare lo Stato da possibili manovre dilatatorie della distribuzione dei dividendi attuato dalla capogruppo in forza del controllo. In ogni caso l’imposizione si verificherebbe anche senza CFC ma con tempistiche dilatate.

 

 

Cristian Meneghetti

Cristian Meneghetti

Commercialista italiano, opera in Romania, esperto in fiscalità internazionale, laureato in Economia e Commercio presso l’Università di Venezia.

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